AAA cercasi venditrice. Poi la sequestrano trasformandola in “vu cumprà”

vu cumprà, venditori abusivi in piazza

Si dice che la legge non ammetta ignoranza. Ebbene, allo stesso modo credo potremmo dire che oggi il lavoro (oltre all’ignoranza) non ammette ingenuità.

La storia che sto per raccontarvi ha dell’incredibile. Arriva direttamente da Caterina (nome di fantasia), che ha voluto condividere con Lavoro Esaurito una delle sue primissime esperienze lavorative, in un crescendo di drammatica comicità.

Prima però una piccola introduzione, giusto per spiegarvi che tipo è la nostra Caterina.
A quei tempi aveva da poco compiuto i 19 anni e frequentava l’università, tutta concentrata sulle Scienze dell’Educazione. Poteva fare la docente, la maestra, l’educatrice: poco le importava perché la sua passione erano comunque i bambini (oh, nel senso più puro e casto del termine eh? Si sa mai che venga frainteso) e la loro formazione.

Comunque: Caterina non aveva la fortuna di tanti altri. La sua famiglia non aveva grosse disponibilità ma lei alla laurea ci teneva troppo, così decise di rimboccarsi le maniche e darsi da fare per davvero, andando a caccia di lavoro per provare a pagarsi da sola la retta dei corsi.

E’ in questo contesto che si sviluppa la nostra storia.

Caterina stava sfogliando i vari annunci quando a un certo punto gliene balzò all’occhio uno in particolare. Riguardava una profumeria (il che le sembrava perfetto, avendo già avuto esperienze nel settore con piccoli lavoretti estivi). Non era molto chiaro ma in sostanza sembrava che cercassero un’addetta alla vendita, sebbene non specificassero bene il negozio in oggetto.

Non ci pensò due volte, preparò il curriculum vitae e lo spedì, carica di belle speranze.

Non passò molto prima che le rispondessero.
Era un Sì: volevano incontrarla.

Caterina si sentì subito sollevata. Era emozionata ed eccitata per la nuova avventura e si presentò all’appuntamento carica come una molla.

Un entusiasmo che, tuttavia, cominciò a incrinarsi fin da subito.

Il colloquio era stato fissato a Sesto San Giovanni, alle porte di Milano. Le era stato dato soltanto un indirizzo ma non appena arrivò lì davanti capì immediatamente che c’era qualcosa che non andava.

Di fronte a lei un negozio chiuso, in stato di semi abbandono con i muri grigi e scrostati e soltanto una scrivania e due semplici sedie come arredamento. L’unica vetrina era buia e impolverata, e mai avresti potuto immaginare che ci fosse vita là dentro se non per una porticina, comunque chiusa, da cui però sembrava trasparire un po’ di luce.

Col cuore in gola, e senza essere completamente sicura di quanto stava facendo, Caterina decise di bussare. Entrò e si trovò davanti un ometto più largo che alto, sulla quarantina, con un abbigliamento, una “leggerezza” e una sobrietà nello stile che ricordavano più un contrabbandiere di whisky ai tempi del proibizionismo, che non un onesto imprenditore.

Una diapositiva del responsabile del "negozio" liberamente ispirato al personaggio di Ciccio Bastardo, dal film Austin Powers
Una diapositiva del responsabile del “negozio”, tratto dal personaggio di Ciccio Bastardo del film Austin Powers

Bastò un suo sguardo, dall’alto al basso come per scansionare per intero la nostra protagonista, e pochi secondi dopo Caterina aveva già l’ok per una prima giornata di prova.
Niente saluti, niente presentazioni, nessuno scambio di contatti telefonici, figuriamoci a parlare di soldi. Solo una semplice raccomandazione:

“Per me puoi già iniziare da domani – le parole del boss o presunto tale -. Appuntamento qui, alle 6 del mattino. Qualcuno ti spiegherà quello che devi fare, poi decideremo il da farsi”.

E’ vero, molti di quelli che leggono potrebbero pensare: “Dai, come fai anche solo a pensare che non ci sia dietro qualcosa di sporco, con tutti questi campanelli d’allarme??”.
Ma Caterina era giovane e ingenua, oltre che iper-determinata a trovare una nuova fonte di reddito per pagarsi gli studi.

Certe volte insomma si sceglie semplicemente di non vedere.

E come insegna la teoria del piano inclinato (brillantemente interpretata qui sotto da Aldo, Giovanni e Giacomo), una volta che la pallina parte, poi non si ferma più.

Il giorno seguente allora, con un misto di paura ed eccitazione, Caterina si presentò puntuale all’appello, trovandosi davanti altri tre giovani, poco più grandi di lei. Due ragazzi e una ragazza.

Fu uno dei due maschietti ad avvicinare per primo la nostra affezionatissima. Stavano caricando alcune scatole su un furgoncino, poi lui le disse di salire, che le avrebbe spiegato tutto “per strada” perché erano già in ritardo.
“Non ti preoccupare – le disse appena prima di entrare – andiamo soltanto “in città”.

“A ripensarci oggi, accettare di salire fu un vero azzardo – ricorda oggi Caterina -. E’ che non volevo sembrare una alle prime esperienza, anche se effettivamente lo ero, e poi non mi era mai capitato nulla di simile. Non sapevo come reagire.
Così salii, senza fare troppe domande, immaginando che quel “negozio” mezzo abbandonato non fosse altro che un magazzino, e che a quel punto avremmo portato gli scatoloni pieni di profumi in un altro negozio. Uno vero magari”.

Non immaginava quanto fosse lontana dalla verità.

Una volta partiti il suo nuovo “tutor” cominciò a dirle tutto: “Stiamo andando a vendere profumi – confermò -, ma in realtà noi non ci limitiamo al negozio, andremo direttamente per le strade!”.

In un attimo scesero le tenebre.

“Volevo buttarmi giù dall’auto in corsa, giuro – continua oggi Caterina, rivivendo quella giornata oltre i limiti dell’assurdo -. E pensare che non ero nemmeno all’inizio!”

Puntuale, appena respinto l’istinto di aprire la portiera e gettarsi fuori, arrivò anche il colpo di grazia:

“Ma dove stiamo andando esattamente?”, chiese ancora mentre il furgoncino si apprestava a entrare in autostrada.
“A BOLOGNA”, risposero loro scambiandosi un sorriso.

Fu il panico.

Sheldon Cooper, personaggio della sitcom Big bang Theory, soffia in un sacchetto nel pieno di una crisi di panico

Sequestro di persona, rapimento, espianto di organi, utero in affitto: erano solo alcuni dei possibili scenari di quella storia assurda, in cui Caterina si era andata a infilare con le sue stesse mani.
Tutti diversi e pure tutti così uguali: nessuno sembrava portare a nulla di buono.

Scrisse un messaggino ai suoi per avvisare del cambio di programma, giusto per consegnare a chi di dovere un piccolo indizio da cui partire nel caso in cui fosse successo qualcosa di spiacevole.
Di ancora più spiacevole, intendo.

Intorno a lei comunque gli altri ragazzi non facevano che tranquillizzarla, giustificandosi per non averle dette niente prima solo perché pensavano fosse già stata aggiornata durante il “colloquio”.

Fu un viaggio incredibilmente lungo.

Dopo un paio d’ore costellate da dubbi e angosce tuttavia, arrivarono a destinazione.

“Mi affiancarono al tipo con cui avevo parlato fino ad allora – racconta oggi la nostra sventurata -, ci posizionammo in una piazza centrale e cominciò il lavoro. Io dovevo solo osservarlo mentre fermava gente a caso con una borsa piena di campioncini. Diceva i nomi dei profumi classici, da Calvin Klein a Hugo Boss passando per Chanel e Dior, eppure le boccette erano tutte uguali, senza marca, senza scritte”.
“In pratica mi spiegarono che quelli erano tutti profumi fatti in casa: loro prendevano la formula di un profumo, la riproducevano e poi vendevano i loro flaconi in strada al prezzo di 10 euro l’uno. Non originali ma con la stessa flagranza”.
Siamo stati lì dalle 9 alle 14 – continua -, era pieno novembre e a quel punto ero davvero quasi morta dalla fame e dal freddo. Non avevo fatto altro che guardare lui, che nel frattempo era riuscito a racimolare qualcosa come 200 euro, vendendo una ventina di profumi in poco meno di 5 ore”.

Scoprì che ogni giorno era lo stesso teatrino, con la differenza che ogni volta si cambiava città, per evitare di essere segnalati e continuare a vendere prodotti illegalmente senza patemi.
“Ero senza parole”.

Rientrarono nel pomeriggio, mentre la testa di Caterina era un tumulto di pensieri.

Rabbia (soprattutto nei confronti di sé stessa), umiliazione (“mentre ero lì a fare il vu-cumprà con il tizio dei profumi incontrai anche due vecchi amici. Non fu una situazione molto piacevole…”) ma anche freddo e fame. “Ero ancora pietrificata e credo che non dissi una sola parola durante tutto il viaggio di ritorno”.

Quando arrivammo al negozio/magazzino/ufficio abbandonato, mi trovai davanti allo pseudo-boss: quello dello pseudo-colloquio in quella pseudo-bettola.

Mi chiese soltanto: “Allora, ci vediamo domani?”.
“Assolutamente no, grazie, risposi io. Cercando anche di sfoggiare il mio migliore sorriso, mentre voltavo le spalle e tornavo finalmente verso casa. Delusa come mai, preoccupata per aver perso quella che credevo essere una fonte di guadagno per pagare l’università, sfiduciata al massimo.
E’ stato un vero incubo, eppure mi ha insegnato qualcosa – ammette Caterina –: l’ingenuità non paga, mai. Anche se di sicuro può costare carissima”.

 

4 pensieri su “AAA cercasi venditrice. Poi la sequestrano trasformandola in “vu cumprà”

Lascia un commento